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CO2 NELLA PROSPETTIVA DELLA PRODUZIONE E DEL CONSUMO

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Abstract: 
L’indicatore rappresenta le emissioni dirette di CO2 prodotte dalle attività produttive (prospettiva della produzione) e la stima della carbon footprint (prospettiva del consumo). Quest'ultima collega le emissioni di CO2 ai beni e servizi che sono utilizzati dalle famiglie e dalle amministrazioni pubbliche, investiti o esportati.
Le emissioni dirette complessive di CO2 prodotte dalle attività economiche e dalle famiglie diminuiscono del 30,9% dal 2008 al 2019. La responsabilità di queste emissioni va attribuita in gran parte alle attività economiche che hanno un peso medio sul totale di circa il 72%. Il livello delle emissioni delle attività economiche decresce nello stesso periodo del 35,8%, attestandosi nel 2019 a 4,1 tonnellate di CO2 pro capite. Secondo la 'prospettiva del consumo', ISPRA stima la carbon footprint italiana a 6,1 tonnellate di CO2 pro capite nel 2019.
Descrizione: 
Le pressioni esercitate sull’ambiente naturale da un sistema economico possono essere osservate secondo due diverse prospettive, quella della produzione e quella del consumo.
Approccio della produzione: in tema di emissioni in atmosfera, gli inventari delle emissioni di sostanze inquinanti e gas serra prodotti da ISPRA – in ambito, rispettivamente, CLRTAP (Convention on Long-range Transboundary Air Pollution) e UNFCCC (United Nations Economic Commission for Europe)– attribuiscono le emissioni a ‘processi tecnici’ (ad esempio la combustione in una centrale elettrica, l’uso dei solventi) direttamente responsabili della pressione ambientale. Allo stesso modo, i conti delle emissioni in atmosfera (in Italia prodotti da Istat) attribuiscono le emissioni alle attività economiche che direttamente le producono.
Approccio del consumo: ai fini di una valutazione più completa delle pressioni ambientali connesse al funzionamento di un sistema economico si può tenere conto, oltre delle pressioni sopra considerate (pressioni dirette), anche di quelle necessarie a produrre beni e servizi importati ed esportati. Si tratta delle pressioni indirette, cioè della parte del cosiddetto ecological rucksack (Quantità totale di materiali estratto dalla natura per creare un prodotto o un servizio).]che è trasformata in rifiuti o emissioni.
È possibile valutare le pressioni totali (dirette e indirette) tenendo conto delle interdipendenze settoriali della produzione e vedere nella soddisfazione della domanda finale l’origine delle pressioni finali, attribuendone quindi la responsabilità agli utilizzatori dei prodotti finali. Nella prospettiva della responsabilità dell’utilizzatore finale (semplificando, del consumo) il punto focale dell’osservazione non è nell’attività di produzione, ma nella domanda finale, cioè: i) consumi finali, ii) investimenti, iii) esportazioni.
In tale prospettiva sono raccolte insieme le pressioni ambientali (emissioni in questo caso) direttamente e indirettamente necessarie a soddisfare le domande finali dei prodotti offerti da ciascuna attività economica. In quest’ottica di tipo life cycle, l’intera catena produttiva di beni e servizi viene ripercorsa all’indietro, e le emissioni derivanti dalle produzioni intermedie vengono attribuite ai consumatori. Nei termini delle emissioni di anidride carbonica, si può dire che ogni bene e servizio “contiene” tutte le emissioni di CO2 che sono state emesse per produrlo, a partire dall’estrazione delle risorse naturali fino alla consegna finale.
La prospettiva del consumo fornisce risultati diversi a seconda dei confini di sistema che si adottano. Quando ci si limita a considerare la sola parte delle catene produttive che si svolge in Italia, troncando al confine nazionale la loro ricostruzione a ritroso, l’adozione dell’ottica della responsabilità dell’utilizzatore finale risulta in una riallocazione delle stesse pressioni che sono originariamente contabilizzate secondo la responsabilità del produttore. Se invece si estende l’analisi al sistema economico in quanto sistema globale, considerando il fondamentale ruolo che il commercio internazionale svolge in esso, l’ottica del consumo offre la possibilità di osservare una responsabilità più estesa di quella attribuibile alle sole attività produttive residenti in Italia, includendo anche le pressioni ambientali legate alle parti delle catene produttive che si svolgono all’estero.
Scopo: 
L'approccio del consumo consente per la CO2 di disporre di un indicatore delle emissioni totali (dirette e indirette) connesse agli utilizzi finali di prodotti del sistema produttivo che, incorporando le emissioni evitate grazie alle importazioni di beni e servizi, ha il pregio di poter ben rispondere alle esigenze della strategia di produzione e consumo sostenibili, non essendo influenzato dalla localizzazione delle attività necessarie ad ottenere i beni e servizi finali utilizzati.
Nell’ambito di tale indicatore, è peraltro possibile evidenziare la cosiddetta footprint, sottraendo la componente delle esportazioni per avere le sole emissioni attribuibili agli usi finali interni.
Rilevanza: 
È di portata nazionale oppure applicabile a temi ambientali a livello regionale ma di significato nazionale
È in grado di descrivere il trend senza necessariamente fornire una valutazione dello stesso
È sensibile ai cambiamenti che avvengono nell’ambiente e/o delle attività antropiche
Fornisce un quadro rappresentativo delle condizioni ambientali, delle pressioni sull’ambiente o delle risposte della società, anche in relazione agli obiettivi di specifiche normative
Fornisce una base per confronti a livello internazionale
Misurabilità: 
Adeguatamente documentati e di fonte nota
Aggiornati a intervalli regolari e con procedure affidabili
Facilmente disponibili o resi disponibili a fronte di un ragionevole rapporto costi/benefici
Un’ “adeguata” copertura spaziale
Un’ “idonea” copertura temporale
Solidità: 
È basato su standard nazionali/internazionali e sul consenso nazionale/internazionale circa la sua validità
È ben fondato in termini tecnici e scientifici
Presenta attendibilità e affidabilità dei metodi di misura e raccolta dati
Comparabilità nel tempo
Comparabilità nello spazio
Principali riferimenti normativi e obiettivi: 
Regolamento (UE) N. 691/2011 relativo ai conti economici ambientali europei (solo per la prospettiva della produzione)
DPSIR: 
Pressione
Tipologia indicatore: 
Benessere (tipo E)
Riferimenti bibliografici: 
- Manual for air emissions accounts, 2015 edition. Eurostat, Luxembourg (https://ec.europa.eu/eurostat/web/products-manuals-and-guidelines/-/KS-GQ-15-009)
- System of Environmental-Economic Accounting 2012 - Central Framework. United Nations, New York, 2014 (https://seea.un.org/content/seea-central-framework)
Limitazioni: 
Per il calcolo della footprint, il modello assume che i partner del commercio internazionale abbiano la stessa tecnologia di produzione italiana (domestic technology assumption). Le ricadute ambientali (CO2 in questo caso) dei prodotti importati sono quindi contabilizzate assumendo che nei paesi partner abbia luogo lo stesso impatto come quello che si verifica in Italia. In pratica, ciò si risolve in un calcolo delle pressioni evitate grazie alle importazioni, ossia quelle che si sarebbero generate in Italia se i beni e servizi finali importati fossero stati prodotti internamente.
Ulteriori azioni: 
Non compilato  
Frequenza rilevazione dati: 
Annuale
Accessibilità dei dati di base: 
Database di Eurostat:
- https://appsso.eurostat.ec.europa.eu/nui/show.do?dataset=env_ac_ainah_r2&lang=en (Conti delle emissioni in atmosfera)
- https://appsso.eurostat.ec.europa.eu/nui/show.do?dataset=env_ac_io10&lang=en (Carbon footprint)

Database Istat: http://dati.istat.it/Index.aspx --> Conti nazionali --> Conti ambientali --> Emissioni atmosferiche NAMEA
Fonte dei dati di base: 
EUROSTAT (Ufficio Statistico delle Comunità Europee)
ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale)
ISTAT (Istituto Nazionale di Statistica)
Descrizione della metodologia di elaborazione: 
Approccio della produzione:
- Manual for air emissions accounts, 2015 edition. Eurostat, Luxembourg (https://ec.europa.eu/eurostat/web/products-manuals-and-guidelines/-/KS-GQ-15-009);
Approccio del consumo:
- Eurostat Manual of Supply, Use and Input-Output Tables, 2008 (https://ec.europa.eu/eurostat/documents/3859598/5902113/KS-RA-07-013-EN.PDF/b0b3d71e-3930-4442-94be-70b36cea9b39);
- Handbook on Supply, Use and Input-Output Tables with Extensions and Applications, UN 2018 (https://unstats.un.org/unsd/nationalaccount/docs/SUT_IOT_HB_Final_Cover.pdf)
Core set: 
Green growth OECD
Altri Core set: 
Non compilato  
Periodicità di aggiornamento: 
Annuale
Copertura spaziale: 
Nazionale
Copertura temporale: 
2008-2019
L’indicatore è calcolato in conformità alle caratteristiche di trasparenza, accuratezza, consistenza, comparabilità, completezza richieste dalla metodologia di riferimento.
Stato: 
Medio
Descrizione/valutazione dello stato: 
Le emissioni dirette complessive di CO2 prodotte dalle attività economiche e dalle famiglie, secondo la “prospettiva della produzione” si attestano nel 2019 a oltre 5,8 t/abit, valore pressoché stazionario dal 2014 (Tabella 1).
Relativamente al Carbon footprint, ISPRA stima la carbon footprint italiana a 6,1 t/abit nel 2019, dato leggermente inferiore a quanto stimato per EU27 (6,7t/abit) (Tabelle 2 e 3).
Trend: 
Positivo
Descrizione/valutazione del trend: 
Le emissioni dirette complessive di CO2 prodotte dalle attività economiche e dalle famiglie, secondo la “prospettiva della produzione”, diminuiscono del 30,9% dal 2008 al 2019. La responsabilità di queste emissioni va attribuita in gran parte alle attività economiche che hanno un peso medio sul totale di circa il 72% (Tabella 1). Il trend dunque può ritenersi positivo. Relativamente al Carbon footprint, tra il 2010 e il 2019, si delinea una decrescita di oltre il 27%, confermando che l’andamento va nella direzione auspicabile dal punto di vista ambientale (Tabella 2).
Variabili: 
Emissioni dirette complessive di CO2 prodotte dalle attività economiche e dalle famiglie, Carboon footprint.
Commenti: 
Le emissioni dirette complessive (attività economiche e famiglie) di CO2 derivate dai conti delle emissioni in atmosfera diminuiscono del 30,9% dal 2008 al 2019. La responsabilità di queste emissioni va attribuita in gran parte alle attività economiche, ma decresce nel periodo 2008-2019: la loro quota sul totale passa da circa tre quarti nel 2008 a un valore intorno al 70% a partire dal 2014. Il livello delle emissioni delle attività economiche decresce nello stesso periodo del 35,8%, attestandosi nel 2019 a 4,1 tonnellate di CO2 pro capiteabit.
Ordinando per importanza emissiva le 21 sezioni della classificazione delle attività economiche, tre gruppi di attività forniscono il contributo emissivo preponderante nel periodo 2008-2019: Industria manifatturiera (principalmente le attività Fabbricazione di altri prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi, Fabbricazione di coke e prodotti derivanti dalla raffinazione del petrolio, Attività metallurgiche, Fabbricazione di prodotti chimici) e Fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata, con una quota media di circa un terzo del totale delle emissioni pro capite delle attività economiche; 'Trasporti e magazzinaggio', con una quota media di circa il 15%. Le sezioni Agricoltura, silvicoltura e pesca, Commercio all'ingrosso e al dettaglio, riparazione di autoveicoli e motocicli', Fornitura di acqua, reti fognarie, attività di trattamento dei rifiuti e risanamento e Costruzioni sono responsabili complessivamente di poco più del 10% delle emissioni delle attività economiche nel 2019.
Nel 2019 le emissioni delle famiglie sono 1,7 t/abit (-15,7% dal 2008). Queste emissioni sono causate principalmente da attività delle famiglie per il trasporto e il riscaldamento, il cui livello si riduce rispettivamente del 17,7% e del 12,9% dal 2008 al 2019 (Tabella 1)
Gli usi finali dei beni e servizi comprendono i consumi delle famiglie e della pubblica amministrazione, gli investimenti (ad esempio, edifici, stabilimenti, macchinari, veicoli e infrastrutture). Una parte dei beni e servizi prodotti è destinata agli usi finali dei mercati esteri. In generale, la stima degli indicatori 'demand-based', a differenza delle footprint, comprende - oltre alle emissioni dirette causate dalle attività produttive per rendere disponibili sul mercato nazionale beni e servizi, alle emissioni indirette generate dagli input produttivi intermedi, e alle emissioni evitate grazie alle importazioni totali (input intermedi e prodotti finali) - anche le emissioni dovute ai beni e servizi esportati.
ISPRA stima la carbon footprint italiana a 6,1 t/abit nel 2019 (Tabelle 2, Figura 2). Questo indicatore comprende le emissioni in atmosfera di anidride carbonica globali (incluse le emissioni evitate grazie alle importazioni) attivate dagli usi finali interni (consumi finali e investimenti) dei prodotti (4,4 t/abit), e le emissioni dirette delle famiglie (1,7 t/abit). Le emissioni generate dalle esportazioni (2,49 t/abit) - non incluse nella footprint italiana ma in quella dei paesi dove sono dirette le esportazioni - includono dal lato del consumo le emissioni evitate grazie alle importazioni necessarie per produrre i beni e servizi esportati (1,08 t/abit).
La carbon footprint per gruppi di prodotti (Tabelle 2 e 3; Figura 2) indica che nel 2019 le emissioni attivate dall'uso di beni e servizi pesano per il 71,6% del totale; il restante 28,4% è da attribuire alle emissioni dirette delle famiglie. I gruppi di prodotti il cui consumo finale attiva una catena produttiva che genera maggiori emissioni sono Energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata, Lavori di costruzione e opere di edilizia civile, Servizi di alloggio e di ristorazione, Prodotti alimentari, bevande e prodotti a base di tabacco, Servizi sanitari, Servizi di vendita al dettaglio, escluso quello di autoveicoli e di motocicli, Coke e prodotti petroliferi raffinati e Servizi di vendita all’ingrosso per conto terzi. Essi rappresentano quasi il 40% delle emissioni totali attivate dalla domanda interna di beni e servizi. Va notata la composizione di questi gruppi di prodotti: in cima le cosiddette 'utilities', poi le costruzioni e servizi immobiliari; successivamente solo due gruppi di prodotti della manifattura e ben quattro tipi di servizi. Infatti, nel periodo 2010-2019 i servizi (esclusi il trasporto, costruzioni e servizi immobiliari) riportano in media oltre un terzo del totale delle emissioni dirette e indirette degli usi finali interni, mentre essi pesano mediamente per meno del 10% delle emissioni dirette delle attività produttive(Tabella 1).
Dal dettaglio (Tabella 3), nel 2019 sono i consumi finali delle famiglie e delle amministrazioni pubbliche per i servizi prodotti in Italia a creare la quasi totalità delle emissioni di CO2 delle utilities (Energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata), mentre sono le spese per investimenti a scatenare gran parte della footprint delle costruzioni. Si noti anche che oltre la metà delle emissioni di CO2 dei Prodotti alimentari, bevande e prodotti a base di tabacco deriva dai consumi finali delle famiglie che attivano catene produttive - e quindi emissioni in atmosfera di CO2 - all'estero.
Nel 2019 l'Italia evita 0,28 t/abit di emissioni di CO2 in più di quante ne emetta per produrre beni e servizi per i mercati esteri (Tabella 2). Si tratta del bilancio netto delle emissioni di CO2 dovute al commercio estero, calcolato come differenza fra le emissioni totali prodotte dalle esportazioni (2,49 t/abit di CO2) e le emissioni evitate grazie alle importazioni (2,77 t/abit di CO2), che algebricamente equivale alla differenza tra le emissioni delle attività produttive italiane dovute alle esportazioni (1,41 t/abit di CO2) e le emissioni evitate grazie alle importazioni (1,69 t/abit di CO2). Il significato di tale bilancio è mostrare l'ammontare di emissioni di CO2 che il paese non produrrebbe più se, ceteris paribus, non commerciasse con l'estero. Nel 2019, ciò significherebbe: i) non esportare prodotti, cioè risparmiare emissioni di CO2 per produrli (1,41 t/abit di CO2); ii) in mancanza di commercio con l'estero l'Italia dovrebbe produrre i beni e i servizi importati, cioè emettere CO2 extra a tale scopo (1,69 t/abit di CO2). Nel complesso, le emissioni extra per le esportazioni e quelle evitate per le importazioni danno origine a un saldo negativo di 0,28 t/abit di CO2 che l'Italia risparmia grazie allo scambio con l'estero di beni e servizi. Nel periodo 2010-2019 il bilancio è sempre negativo (intorno a -1 t/abit di CO2 nel 2010 e 2011, per poi aumentare), possibile sintomo di un trasferimento produttivo all'estero da indagare ulteriormente.
Allegati: 
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File Dati Figura1.xlsx21.23 KB
File Tabella 2.xlsx25.05 KB
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File Dati Figura 2.xlsx19.66 KB
File Tabella 3.xlsx16.28 KB