Goal 14: Vita sott’acqua

Adottare misure urgenti per combattere il cambiamento climatico e le sue conseguenze.

STOCK ITTICI IN SOVRASFRUTTAMENTO

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Nel periodo considerato (2007-2022) si osserva che la maggioranza degli stock ittici valutati si trova in uno stato di sovrasfruttamento: la mortalità indotta dalla pesca risulta superiore a quella necessaria per conseguire uno sfruttamento sostenibile delle risorse nel lungo periodo in condizioni ambientali medie.
Nel triennio 2020-2022 sono stati rilevati i valori più bassi della serie storica, con circa il 60% degli stock sovrasfruttati, evidenziando un relativo miglioramento. L’indicatore, basato sulle valutazioni analitiche degli stock validate a livello internazionale, mostra la tendenza complessiva dello stato di sfruttamento degli stock ittici oggetto di pesca commerciale al fine di evidenziare lo stato delle risorse oggetto di prelievo. L’indicatore è associato alla valutazione della copertura percentuale degli sbarcati per i quali sono disponibili gli stock assessment. L'analisi è condotta a livello nazionale e di sottoregione secondo la ripartizione geografica indicata dalla Direttiva Quadro Strategia Marina.

AZIENDE IN ACQUACOLTURA E PRODUZIONI

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L’indicatore stima la dimensione dell’acquacoltura nazionale, come numero di impianti attivi e produzioni e i trend di crescita rispetto agli obiettivi programmati nel Piano Strategico Acquacoltura 2014-2020 e il Programma Operativo del Fondo Europeo per gli affari marittimi, la pesca e l’acquacoltura (FEAMP) 2014-2020. Nel 2020 il Veneto si conferma la prima regione in Italia per numero di impianti (26%), mentre l’Emilia-Romagna è la prima regione per volumi di produzione (26%). Cinque regioni (Veneto, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Puglia, Sardegna) ospitano il 71% degli impianti di acquacoltura. Emilia-Romagna, Veneto e Friuli si confermano i principali poli produttivi e insieme a Marche e Toscana coprono il 69% della produzione Nazionale. Nella maggior parte delle regioni costiere prevale l’utilizzo della risorsa idrica salmastra/salata, con impianti localizzati in ambienti di transizione, costieri e marini. Il 2020 è stato un anno fortemente influenzato dalle conseguenze della pandemia da Covid 19: la produzione italiana d’acquacoltura censita è di 122.760 tonnellate, il 61% sono molluschi, il 39% sono pesci. La crostaceicoltura si conferma un settore minoritario, con una produzione di sole 0,5 tonnellate. Le specie non indigene contribuiscono al 49% della produzione nazionale. In conseguenza del calo della produzione registrato nel 2020, le produzioni d’acquacoltura nel periodo 2013–2020 sono diminuite del 13%, disattendendo le stime di crescita indicate dal MiPAAF.

BILANCIO DI AZOTO E FOSFORO DA IMPIANTI DI ACQUACOLTURA IN AMBIENTE MARINO

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L'indicatore fornisce una stima dell'apporto e della sottrazione di azoto e fosforo, operata rispettivamente dai pesci e dai mitili nell'ambiente costiero in cui si svolgono le attività di allevamento. Il bilancio tra l’immissione di nutrienti da parte dei pesci allevati e la sottrazione da parte dei molluschi consente di stimare, a livello regionale, il contributo quantitativo netto dell'acquacoltura nei processi trofici lungo le coste italiane. A livello nazionale, nel 2020, la stima del bilancio di azoto e fosforo derivante dalle attività di allevamento intensivo di specie ittiche e di mitili evidenzia, una riduzione, rispetto al 2019, dell'apporto di tali nutrienti dovuto al decremento della produzione di pesci allevati e una diminuzione della sottrazione di tali nutrienti dovuta al decremento della produzione di mitili allevati. A livello regionale, in Veneto, Emilia-Romagna, Abruzzo, Molise e Marche la sottrazione di azoto e fosforo, operata dai mitili, è maggiore della immissione operata dai pesci.

CLASSIFICAZIONE DELLE ACQUE DI BALNEAZIONE

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La qualità delle acque di balneazione è fondamentale per la salvaguardia della salute dei cittadini e riveste un ruolo importante anche dal punto di vista della protezione dell'ambiente naturale e per gli aspetti economici nel settore del turismo. Per tale motivo vengono effettuati specifici monitoraggi durante tutta la stagione balneare. Relativamente alla stagione balneare 2023 sono stati raccolti e analizzati oltre 31.000 campioni di acqua marina e lacustre su un totale di oltre 5.000 km di costa adibita alla balneazione. A livello comunale i km di costa sono suddivisi in acque di balneazione più o meno estese, per un totale di 5.490 acque di balneazione. I risultati delle analisi, oltre a garantire durante la stagione l'assenza di rischi igienico sanitari, hanno anche permesso di classificare le acque. La classificazione è stata fatta utilizzando i risultati del monitoraggio effettuato durante la stagione balneare 2023 e quelli delle tre stagioni precedenti (2022-2021-2020). A livello nazionale la maggior parte delle acque è in classe eccellente (90,6%), tuttavia permangono ancora delle criticità dovute alle presenze di acque in classe scarsa (1,3%) e non classificabili (0,5%), per le quali non è possibile esprimere un giudizio di qualità. Anche a livello regionale la percentuale delle acque in classe eccellente è quella più elevata e in alcuni casi è pari al 100%. In quasi tutte le regioni diminuiscono le acque in classe sufficiente e scarsa ma la presenza di queste ultime ancora impedisce il raggiungimento pieno dell'obiettivo della direttiva.

STATO CHIMICO DELLE ACQUE MARINO COSTIERE

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Le acque marino costiere sono “le acque superficiali situate all'interno rispetto a una retta immaginaria distante, in ogni suo punto, un miglio nautico sul lato esterno dal punto più vicino della linea di base che serve da riferimento per definire il limite delle acque territoriali e che si estendono eventualmente fino al limite esterno delle acque di transizione” (Comma 1 dell’articolo 74 del D.Lgs. 152/2006). La normativa (D.Lgs. 152/2006) impone il raggiungimento del “buono" stato dei corpi idrici (chimico + ecologico) entro le date fissate dalla normativa vigente, al mancato raggiungimento degli obiettivi ambientali conseguono le misure di risanamento. In base all’analisi dei dati riportati dai Distretti nel 3° Reporting alla Commissione europea relativo al sessennio 2016-2021 (3° PdG), lo stato chimico delle acque marino costiere italiane risulta eterogeneo. Tale disomogeneità si esprime sia a livello di numero di corpi idrici identificati per distretto sia per classificazione. I Distretti delle Alpi Orientali e del Fiume Po presentano la totalità dei corpi idrici in stato chimico non buono, mentre Sicilia e il Distretto dell’Appennino Meridionale oltre il 60% dei corpi idrici. I Distretti dell’Appennino Settentrionale, Appennino Centrale e della Sardegna registrano, invece, rispettivamente più del 50%, più del 90% e più dell’80% in stato chimico buono. A livello nazionale il 51% dei corpi idrici marino costieri è nello stato chimico buono. Dal confronto tra il 2° PdG e 3° PdG emerge che nel 2° PdG i corpi idrici con stato chimico sconosciuto erano il 26% (147 corpi idrici su 561 totali), mentre nel 3° PdG un solo corpo idrico è in stato sconosciuto. In termini generali, i corpi idrici nello stato chimico buono sono comparabili nei due PdG, rispettivamente il 52% e il 51%, mentre sono aumentati i corpi idrici nello stato chimico non buono nel 3° PdG (49%).

STATO ECOLOGICO DELLE ACQUE MARINO COSTIERE

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Le acque marino costiere sono “le acque superficiali situate all'interno rispetto a una retta immaginaria distante, in ogni suo punto, un miglio nautico sul lato esterno dal punto più vicino della linea di base che serve da riferimento per definire il limite delle acque territoriali e che si estendono eventualmente fino al limite esterno delle acque di transizione". La normativa (D.Lgs. 152/2006) impone il raggiungimento del “buono" stato dei corpi idrici (ecologico + chimico) entro le date fissate dalla normativa vigente; al mancato raggiungimento degli obiettivi ambientali conseguono le misure di risanamento. In base all’analisi dei dati riportati dai Distretti nel 3° Reporting alla Commissione europea relativo al sessennio 2016-2021 (3° PdG), lo stato ecologico delle acque marino costiere italiane risulta eterogeneo. Tale disomogeneità si esprime sia a livello di numero di corpi idrici identificati per distretto sia per classificazione ecologica. I Distretti delle Alpi Orientali, Appennino Settentrionale, Appennino Centrale, Sicilia e della Sardegna presentano, tuttavia, una percentuale di corpi idrici in stato ecologico buono ed elevato maggiore o uguale al 70%. In particolare, nel Distretto della Sardegna i corpi idrici in stato elevato sono più del 40%. A livello nazionale i corpi idrici in stato ecologico buono ed elevato sono più del 60% sul totale (261 corpi idrici su 394 totali). Dal confronto tra i dati del 2° PdG e 3° PdG emerge che nel 2° PdG i corpi idrici con stato ecologico sconosciuto erano il 27% (149 corpi idrici su 561 totali), mentre nel 3° PdG solo un corpo idrico è in stato ecologico sconosciuto. In termini generali, si passa dal 55% dei corpi idrici nello stato ecologico buono ed elevato del 2° PdG al 66% del 3° PdG.

MONITORAGGIO STRATEGIA MARINA – RIFIUTI MARINI SPIAGGIATI

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La Strategia Marina (Direttiva 2008/56/CE) rappresenta un importante strumento di governance del sistema mare, promuovendo l’adozione di strategie mirate alla salvaguardia dell’ecosistema marino per il raggiungimento del Buono Stato Ambientale. Il Buono Stato Ambientale è valutato sulla base di 11 temi o descrittori qualitativi e, fra questi, il descrittore 10 prevede che le proprietà e le quantità di rifiuti marini non provochino danni all’ambiente costiero e marino. L’Italia realizza dal 2015 un esteso programma di monitoraggio dei rifiuti marini, compresi quelli spiaggiati. Nel 2023, la mediana dei rifiuti marini totali spiaggiati sui litorali italiani è risultata di 250 rifiuti ogni 100 m, il valore più basso dell’intera serie storica. Si tratta però di una densità ancora nettamente superiore al valore soglia di 20 rifiuti ogni 100 m, stabilito a livello europeo come requisito per il raggiungimento del Buono Stato Ambientale. Come negli anni precedenti, le plastiche monouso sono il rifiuto spiaggiato più comune rappresentando il 13% del totale; tuttavia, per questa tipologia di rifiuti si osserva un netto calo rispetto al 2022 (29%) che, se confermato nei prossimi anni, potrebbe rappresentare un primo risultato significativo dell'efficacia del Programma di Misure della Strategia Marina e, in particolare, dell’applicazione della Direttiva 2019/904 per la riduzione della plastica monouso.


CLEAN COAST INDEX (CCI)

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Qualsiasi materiale solido, fabbricato o trasformato dall'uomo, abbandonato o perso in ambiente marino e costiero o che arrivi al mare in qualsiasi modo è definito un rifiuto marino. L’Italia, con il Decreto Legislativo n. 190/2010 di recepimento della Direttiva Quadro sulla Strategia per l'Ambiente Marino, effettua dal 2015 un intenso programma di monitoraggio dei rifiuti marini, inclusi quelli spiaggiati. Due volte l’anno, in primavera e autunno, le Agenzie Regionali per la Protezione dell’Ambiente (ARPA) costiere realizzano il monitoraggio dei rifiuti solidi presenti in aree campione di 69 spiagge di riferimento lungo il litorale nazionale. Per valutare il grado di pulizia delle spiagge sulla base della densità dei rifiuti presenti nelle aree campione monitorate è stato calcolato il Clean Coast Index (CCI), un indicatore sviluppato e applicato a livello internazionale.

Nel 2023 il CCI è stato calcolato per 69 spiagge sia in primavera sia in autunno. In primavera, l’80% delle spiagge monitorate sono risultate pulite o molto pulite contro il 12% di spiagge sporche o molto sporche. In autunno, il 77% delle spiagge sono risultate pulite o molto pulite, mentre il 12% sporche o molto sporche. Il resto delle spiagge è risultato abbastanza pulito. Rispetto all’anno precedente, la percentuale di spiagge pulite o molto pulite è aumentata in autunno (75% nel 2022), mentre in primavera si è mantenuta uguale.

MONITORAGGIO STRATEGIA MARINA - MICRORIFIUTI NELLO STRATO SUPERFICIALE DELLA COLONNA D'ACQUA

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L’Italia, in applicazione alla Direttiva Quadro per la Strategia Marina, ha attuato dal 2015 un esteso programma di monitoraggio dei rifiuti marini, inclusi i microrifiuti presenti nello strato superficiale della colonna d’acqua. Tale monitoraggio è condotto dal Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (di cui ISPRA fa parte), sotto il coordinamento del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE). La composizione, quantità e distribuzione dei microrifiuti superficiali sono parametri essenziali per raggiungere il buono stato ambientale delle acque marine, obiettivo della Direttiva. I microrifiuti sono particelle con dimensioni inferiori ai 5 mm, la cui origine è difficile da identificare una volta disperse nell’ambiente. Queste particelle derivano sia da fonti primarie, come pellets e microgranuli utilizzati in cosmetica o prodotti abrasivi, sia da fonti secondarie, come la frammentazione di macrorifiuti. Con l’elaborazione dei dati effettuata dal 2016 al 2022 è stato possibile definire un valore mediano di densità delle microparticelle presenti nei nostri mari, pari a 0,04 microparticelle su m2,ossia 40.000 microparticelle su km2. Tale valore si conferma aggiungendo alla serie di dati anche quelli del 2023. A livello di Mediterraneo, la Convenzione di Barcellona ha fissato un valore soglia di 0,000845 microparticelle per m² (845 microparticelle per km²), pertanto, rispetto a questo valore, l’Italia è ancora distante dal raggiungimento del buono stato ambientale.

TASSO DI SFRUTTAMENTO DA PESCA DELLE RISORSE ITTICHE NAZIONALI

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Nel periodo considerato (2007-2022) il tasso medio di sfruttamento degli stock ittici (ovvero la media del rapporto tra mortalità da pesca corrente e la mortalità associata al Massimo Rendimento Sostenibile; Fcurr/FMSY) presenta valori superiori alla soglia di sostenibilità. L’indicatore, stimato sulla base delle valutazioni analitiche degli stock ittici validate a livello internazionale, mostra la tendenza complessiva del tasso di sfruttamento degli stock ittici oggetto di pesca commerciale al fine di evidenziare l’andamento quantitativo complessivo della pressione di pesca. In particolare, si osserva un picco nel tasso medio di sfruttamento negli anni 2012 e 2013 (con valori superiori a 3), cui segue un trend di declino con valori minimi riscontrati nel 2022 (valore medio 1,12). L'analisi è condotta a livello nazionale e di sottoregione secondo la ripartizione geografica indicata dalla Direttiva Quadro per la Strategia per l’ambiente marino (MSFD; 2008/56/CE).

EUTROFIZZAZIONE

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L’eutrofizzazione è un processo causato dall’arricchimento in nutrienti, in particolare composti dell’azoto e del fosforo, che determina un incremento della produzione primaria e della biomassa algale con conseguente alterazione delle comunità bentoniche e, in generale, diminuzione della qualità delle acque. L’immissione nell’ambiente marino e costiero di azoto e fosforo può derivare da fonti diffuse (carichi fluviali, principali collettori di attività agricole e di scarichi civili) e da fonti puntuali (scarichi derivanti dagli impianti di trattamento delle acque reflue, industriali e derivanti da attività di acquacoltura).
Obiettivi legati al controllo e alla gestione dell'eutrofizzazione sono fissati dalla Direttiva Quadro sulle Acque (WFD, Direttiva 2000/60/CE), dalla Direttiva sulla Strategia Marina (Descrittore 5, Direttiva 2008/56/CE) e dalle Direttive Nitrati (Direttiva 91/676/CEE) e Acque Reflue Urbane (Direttiva 91/271/CEE) maggiormente focalizzate, le ultime due, sulla gestione delle pressioni. Le cause dell’eutrofizzazione sono soprattutto da riferirsi agli apporti di nutrienti veicolati a mare dai fiumi o dagli insediamenti costieri che provocano seri impatti negativi sulla salute degli ecosistemi marini e sull’uso sostenibile di beni e servizi; le principali fonti di nutrienti sono riconducibili al settore agro-zootecnico e a quello civile (insediamenti urbani).

Le valutazioni dello stato ambientale in relazione all'eutrofizzazione, in accordo a quanto previsto dalla Direttiva 2008/56/CE, ha evidenziato il raggiungimento del Buono Stato Ambientale. Pertanto, le misure finora adottate ai sensi della Direttiva 2000/60/EC, della Direttiva 91/676/CEE e della Direttiva 91/271/CEE risultano idonee al raggiungimento dei traguardi ambientali.